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I Vicerè | 599 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:601|3|0]]l’aspettazione della morte? Perchè avrebbe provato repugnanza per la solitudine, la rinunzia, il silenzio della vita claustrale, se ella sentivasi sola, spaventosamente sola, se ella aveva rinunziato a tante cose che le erano state a cuore, se le voci del mondo erano tristi e dolorose? «Se io fossi morta?...Se io non fossi nata?...»
Un brivido di freddo l’assalì quando la carrozza arrestossi nel cortile di casa sua. E i suoi figli? Aveva dimenticato i suoi figli? Quando li ebbe stretti al petto, la lunga agitazione del suo spirito si risolse in pianto. Ed in quel punto ella udì una voce, una voce viva, dolce e pietosa:
— Teresa, che avete?... Com’è andata?... Sta male?...
Non potè rispondere; il pianto la strozzava.
— Teresa!... Per l’amor di Dio, non v’angustiate così! Voi che siete tanto forte!... L’operazione non è riuscita? Sì?... E allora?... Andiamo, Teresa, siate ragionevole!... Guarirà, vedrete... Poveretta!... Ha ragione... Ma ora basta! Basta, Teresa... Sentitemi... ditemi... Michele non è venuto con voi?...
Ella rispondeva a cenni col capo. Voleva dirgli di tacere perchè quella voce dolce, quelle parole buone accrescevano la tempesta del pianto, perchè quella soave pietà le rivelava la propria miseria. No, ella non era forte; era debole, timida, fragile; non poteva dare aiuto agli altri; aveva ella stessa bisogno d’appoggio e di soccorso.
E la caritatevole voce diceva ancora:
— Poveretta! Poveretta!... Fatevi animo... Sono qui i vostri figli; guardateli, guardate come sono belli... Fatelo per amore di questi angioletti, non v’ammalate anche voi... E la mamma che non c’è!... Volete vostro fratello? Volete che lo mandi a chiamare?... Dite che cosa volete; sono qua io...
Ed il suo braccio la cinse, la sua tempia sfiorò la tempia di lei. Ella piangeva ancora, ma di tenerezza, non di dolore: dopo l’orrore che aveva visto, dopo le tristezze che aveva pensate, l’anima sua aveva bisogno