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600 I Vicerè

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:602|3|0]]di conforti, e le confortanti parole le scendevano soavi all’anima come un balsamo. Avendo pensato d’esser sola al mondo, di non aver nessuno che l’intendesse, abbandonavasi ora, con la trepida voluttà della debolezza, a quella forza, a quella simpatia. Egli le asciugava gli occhi, le divideva sulla fronte i capelli scomposti. La sua mano tremava.

— Così... — mormorava, — basta così....

Le passò nuovamente il braccio attorno alla vita, le prese una mano. I singhiozzi che le sollevavano il seno ambasciato facevano più stretto l’abbraccio. La baciò in fronte.

Ella si liberò dalla stretta e levossi. La duchessa sopravveniva.


Da quel momento, entrambi lessero il pensiero della colpa nei loro sguardi. Evitavano di guardarsi, ma il pensiero persisteva, come se qualcuno, le stesse mute cose lo esprimessero. Se la mano, se l’abito dell’una sfiorava quello dell’altro, le fronti arrossivano, le menti si turbavano. Ella non pensava più a suo padre che se ne moriva, non ai suoi figli. Alla tentazione, soltanto, sempre. Andò a gettarsi dinanzi alla Beata: la lampada votiva ardeva perennemente, come la fiamma che struggeva il suo cuore. Non valsero le preghiere: nessuno le udiva. Nulla valeva. Ella pensava: «Sarà oggi.... sarà domani..."»

Suo marito le disse una volta:

— Giovannino m’inquieta... torna ad esser turbato come dopo la malattia, hai visto?

Ella non aveva visto nulla: stupivasi come non si fossero accorti ancora dello smarrimento suo proprio.

— Non parla, non ride, pare che ricominci a tormentarlo qualche fissazione... Che possiamo fare?

Che potevano fare?

Un giorno, a tavola, Giovannino annunziò:

— Parto per Augusta.

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