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I Vicerè | 625 |
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― Chi?
― Chi? Tuo zio, tuo nipote, i tuoi parenti, quella mala razza, che maledetta sia l’ora e il giorno...
Ella lo guardava sempre come un oggetto strano e ridicolo. Più stupita che sdegnata, interruppe:
― Che diavolo dici?
― Che dico? Quel che ho da dire. Vorresti difenderli? O tieni loro il sacco?
― Sei proprio un imbecille, ― esclamò ella, levandosi.
Allora Benedetto perse il lume degli occhi. Afferratala per un braccio, gridò:
― È vero?... Hai ragione di dirlo, tu!... Sono un imbecille...
E le lasciò correre un ceffone, tremendo, che la colse nel pieno della guancia e tonò come una schioppettata. A un tratto la lasciò e andò a chiudersi in camera.
I servi, che avevano visto entrare il padrone a quel modo inusitato, erano rimasti in ascolto: nessuno di loro fiatava. La cameriera, finita la scena, sogguardava tratto tratto dall’uscio rimasto aperto, per vedere che faceva la signora. Questa era immobile, dietro la finestra, con la guancia gonfia ed infocata. Dopo un’ora, restava sempre nella stessa posizione. Subitamente si mise a passeggiare guardando per aria come per acchiappar mosche, guardando per terra come cercando un oggetto smarrito, arrestandosi di botto in mezzo alla camera quasi colta subitamente da un’idea, riprendendo poi la corsa quasi inseguendo qualcuno. Ai servi che le chiedevano ordini rispondeva brevemente, ma non in collera. La guancia le si sgonfiava e sbiancava a poco a poco; tratto tratto ella vi portava la mano.
― Eccellenza, ― vennero a domandarle, ― è ora d’apparecchiare? ―
― Aspettate, ― rispose; e andò a picchiare alla camera del marito.
Benedetto era buttato sul letto, coi panni sbottonati,
I Vicerè ― 40 |
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