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632 | I Vicerè |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:634|3|0]]non ha feudi nè blasoni, non oro da corrompere le coscienze; ma voi, cittadini, dimostrerete che la vostra coscienza è un tesoro troppo grande perchè un pugno di monete possa comprarla.» Era una menzogna, giacchè egli non spendeva altri quattrini se non quelli della stampa, della posta, delle carrozze; ma poteva trovar credito più delle altre, ed egli voleva esser eletto per l’attitudine alla vita pubblica di cui aveva dato prova, per la coltura che s’era affannato ad acquistare. Poi, rammentando l’impegno preso con sè stesso di restar calmo, di lasciar dire, scrollava le spalle, dominava gli impeti di sdegno, i moti di corruccio; diceva: «Mi eleggano pel blasone e pei feudi, che m’importa? Purchè mi eleggano!» E agli intimi che s’arrabbiavano per lui vedendolo aggredito a quel modo: «Hanno ragione!» rispondeva, sorridendo. «il mio più grande titolo all’elezione è quello di principe!»
Ciò che egli esprimeva con la facezia era la verità. «Principe di Francalanza:» queste parole erano il passaporto, il talismano che operava il miracolo di aprirgli tutte le vie. Egli sapeva che le dichiarazioni di democrazia non gli potevano nuocere presso gli elettori della sua casta, poichè questi non lo credevano sincero ed erano sicuri di averlo, al momento buono, dalla loro; dall’altro canto sentiva che le accuse di aristocrazia non lo pregiudicavano molto presso la gran maggioranza di un popolo sducato da secoli al rispetto ed all’ammirazione dei signori, quasi orgoglioso del loro fasto e della loro potenza. Per lui, il buon popolo che si lasciava taglieggiare dai Vicerè era stato pervertito da false dottrine, da sciocche lusinghe: egli era sicuro che prendendo a quattr’occhi uno di quelli che più vociavano «libertà ed eguaglianza» e dicendogli: «Se foste al mio posto, gridereste così?» il repubblicano sarebbe rimasto in un bell’impiccio. La quistione, dicevano alcuni, era che questi posti eminenti, queste situazioni privilegiate non dovevano più esistere: ma allora Consalvo sorrideva di pietà. Quasichè, ammessa pure la possibilità d’abolire