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I Vicerè 633

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:635|3|0]]con un tratto di penna tutte le disuguaglianze sociali, esse non si sarebbero di nuovo formate il domani, essendo gli uomini naturalmente diversi, e il furbo dovendo sempre, in ogni tempo, sotto qualunque regime, mettere in mezzo il semplice, e l’audace prevenire il timido, e il forte soggiogare il debole! Nondimeno piegavasi, concedeva tutto, a parole, allo spirito dei nuovi tempi. I giornaletti arrabbiati lo mordevano tenacemente con l’accusa di muffosità «spagnolesca», di orgoglio «organico»; egli diceva agli elettori che gli davano del «signor principe» a tutto spiano: «Io non mi chiamo signor principe, mi chiamo Consalvo Uzeda...» Metteva adesso una specie di zelo nelio spogilarsi di tutto ciò che poteva offendere il sentimento dell’uguaglianza umana, non parlava più dei «miei viaggi» e dei «miei feudi», pareva volersi scusare del suo titolo e delle sue ricchezze, quasi vergognoso del grande stemma infisso sull’arco del portone, della rastrelliera del vestibolo, dei ritratti degli avi, come d’altrettante macchie, d’altrettanti attestati d’indegnità. Ma egli faceva questo a tempo e luogo, dinanzi ai radicali sinceri, ai repubblicani puri; la più gran parte del tempo sapeva d’avere intorno persone che chiamandolo «principe», mostrandosi in sua compagnia, credevano di partecipare in qualche modo al suo lustro.

Lavorava come un cane a far visite, a scriver lettere, a dirigere i suoi galoppini, a presiedere le adunanze del comitato. La notte stentava a prender sonno, con la mano scottata dal contatto di tante mani sudicie, sudate, ruvide, incallite, infette; con la mente infiammata dall’ansietà della riuscita. Sarebbe riuscito? A momenti ne aveva l’intima e salda certezza; il governo era per lui; Mazzarini, arrivato al potere, ministro dei lavori pubblici, gli aveva trascritto da Roma tutte le lettere con le quali lo raccomandava al prefetto. Ma non si contentava di riuscire, voleva stravincere, essere il primo degli eletti, assicurarsi stabilmente il collegio con una votazione unanime, plebiscitaria. L’accordo col Giardona gli gio-

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