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650 I Vicerè

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:652|3|0]]non mi duole di aver conosciuto, perché ora sono meglio in grado di combatterli.... (Benissimo!) mi vollero chiuso qui, tra questi muri. Permettetemi ch’io vi narri un aneddoto di quei giorni lontani. Erano i tempi in cui Garibaldi il Liberatore correva trionfalmente da un capo all’altro del feudo borbonico per farne una libera provincia della libera patria italiana... (Bravo, bene!) Io ero allora fanciullo, ed alla mia mente inesperta ed ignara il nome di Garibaldi sonava come quello di un guerriero formidabile che altre leggi non conoscesse fuorchè le dure, le violente leggi di guerra. Un giorno corse una voce: Garibaldi era alle porte della nostra città; i Padri Benedettini si disponevano ad ospitarlo.... non potendo subissarlo coi suoi diavoli rossi.... (Si ride). Ed io quasi temetti di guardare in viso quel fulmine di guerra, come se col solo sguardo egli dovesse incenerirmi. Ed un giorno i miei compagni m’additarono l’Eroe dei due mondi. Allora io vidi quel biondo Arcangelo della libertà intento, sapete voi a qual opera? A coltivare le rose del nostro giardino! Da quel giorno, la rivelazione di quel cuore vasto e generoso, dove la forza leonina s’accoppiava alla gentilezza soave.... (Scroscio di applausi) di quell’uomo che, conquistato un regno, doveva, come Cincinnato, ridursi a coltivare il sacro scoglio, dove oggi aleggia il magnanimo spirito di Lui, che fu a ragione chiamato il Cavaliere dell’umanità....»

Gli stenografi smisero di scrivere, tale uragano d’applausi e di grida si scatenò. Urlavano: «Viva Francalanza!... Viva Garibaldi!... Viva il nostro deputato!...» e le parole del principe si perdevano nel clamore universale, vedevasi solamente la bocca che s’apriva e chiudeva come masticando, il braccio che gestiva rotondamente per finire l’aneddoto: la confusione tra Menotti Garibaldi e il padre, la sostituzione di se stesso al morto cugino.... «Silenzio!... Parla ancora!... Viva Garibaldi!... Viva il principino!...» Tratto di tasca il fazzoletto, egil lo sventolò gridando: «Viva Garibaldi!

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