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I Vicerè | 89 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I Vicerè.djvu{{padleft:91|3|0]]veramente un buon giovane, studioso, un po’ esaltato, infiammato dalle dottrine liberali dello zio, bruciante d’amore per l’Italia: scrivendo alla ragazza le diceva che le sue passioni erano tre: lei, la madre e la patria che bisognava redimere.
Così anche Lucrezia, dopo aver dato ascolto alle istigazioni di don Blasco, non faceva nulla di quel che voleva lo zio: anzi, una volta che costui fu più insistente, ella rispose:
― Perchè non parla Vostra Eccellenza con Giacomo?
Il monaco, a quest’uscita, diventò paonazzo e parve sul punto di soffocare.
― Ho da parlar io, ah, bestia? ah, bestiona? Vi piacerebbe, bestioni, prender la castagna con la zampa del gatto? Ah, volevate che parlassi io!... E che cavolo vi pare che me n’importi, in fin dei conti, se vi spoglia, se vi mangia tutti quanti, brancata di pazzi, di gesuiti e d’imbecilli, oh?...
Parlare a Giacomo, prendere le parti di quei nipoti contro quell’altro, era veramente impossibile a don Blasco. Egli si sarebbe così impegnato definitivamente, avrebbe preso realmente un partito, non avrebbe potuto più dar torto a chi prima aveva dato ragione, e viceversa; e questo era ciò che egli voleva. Così per esempio il principe, solo fra tutta la «mala razza» (come il Benedettino chiamava i suoi nei momenti d’esasperazione, cioè quasi sempre) gli era stato dinanzi obbediente e sommesso, gli aveva dato ragione nella lotta contro la principessa; ora don Blasco, in cambio, gli sobillava i fratelli e le sorelle. Ma il monaco non credeva di far male, così; scettico e diffidente, sapeva che Giacomo s’era messo con lui non già per affezione o per rispetto, ma per semplice tornaconto.
Il principe Giacomo, infatti, aveva avuto le sue ragioni. Quasi non potesse perdonargli di non esser venuto a tempo, quand’ella l’aspettava e lo voleva,