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CAPITOLO XVI.

Delle piazze e degli edificii, che intorno a quelle si fanno.

OLtre le strade, delle quali è stato detto di sopra, fa di mestieri che nelle Città secondo la loro grandezza siano compartite più e manco piazze, nelle quali si raunino le genti a contrattar delle cose necessarie, ed utili a i bisogni loro; e si come a diversi usi si attribuiscono, così devesi a ciascuna dar proprio luogo e conveniente. Questi tai luoghi ampj, che per le Città si lasciano; oltre la detta comodità, che vi si raunano le genti a passeggiare, a trattenirsi e a contrattare; rendono ancora molto ornamento, ritrovandosi a capo di una strada un luogo bello e spacioso, dal quale si veda l’aspetto di qualche bella fabbrica e massimamente di qualche Tempio. Ma si come torna bene che siano molte piazze sparse per la Città, così molto più è necessario e hà del grande e dell’onorevole, che ve ne sia una principalissima e che veramente si possa chiamar publica. Queste piazze principali deono farsi della grandezza che ricercherà la moltitudine de’ cittadini, acciocchè non siano piccole al comodo, ed all’uso loro; ovvero per il poco numero delle persone non paiano disabitate. Nelle Città marittime si faranno appresso il porto: e nelle città, che sono fra terra, si faranno nel mezzo di quelle; acciocchè siano comode a tutte le parti della Città. Si ordineranno, come fecero gli Antichi; intorno alle piazze i portichi larghi quanto sarà la lunghezza delle lor colonne; l’uso de quali è per fuggir le pioggie, le neui, ed ogni noia della gravezza dell’aere e del Sole: ma tutti gli edifizj, che intorno alla piazza si fanno; non devono essere (secondo l’Alberti) più alti della terza parte della larghezza della piazza, ne meno della sesta: e a i Portichi si salirà per gradi, i quali si faranno alti per la quinta parte della lunghezza delle colonne. Grandissimo ornamento danno alla piazze gli archi, che si fanno in capo delle strade, cioè nell’entrare in piazza, i quali, come si debbono fare e perchè anticamente si facessero e d’onde si chiamassero trionfali si dirà diffusamente nel mio Libro degli archi e si porranno i disegni di molti: onde si darà grandissimo lume a quelli, che uolessero a nostri tempi e per l’avenire drizzar gli archi a Principi, a Re e a Imperatori. Ma ritornando alle piazze principali, devono esser a quelle congionti il palazzo del Principe, over della Signoria, secondo che sarà o Principato, o Repubblica: la Zecca e l’erario publico; dove si ripone il Thesoro, ed il danaro publico: e le prigioni: queste anticamente si facevano di tre sorti, l’una per quelli ch’erano suiati, ed immodesti, che si tenivano, acciocchè fossero ammaestrati, la quale ora si dà a i pazzi: l’altra era dei debitori e questa ancora si usa tra noi: la terza è dove stanno i perfidi e rei uomini o già condennati, o per esser condennati: lequai tre sorti bastano, conciosiache i falli degli uomini nascano o da immodestia, over da contumacia, ovvero da peruersità. Devono esser la Zecca e le prigioni collocate in luoghi sicurissimi e prontissimi, circondate d’alte mura e guardate dalle forze e dalle insidie dei sediziosi Cittadini. Deono farsi le pregioni sane e comode: perchè sono state ritrovate per custodia e non per supplicio e pena dei scelerati, o d’altre sorti d’uomini: però si faranno le lor mura nel mezzo di

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