< Pagina:I quattro libri dell'architettura.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

73

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|I quattro libri dell'architettura.djvu{{padleft:81|3|0]]

CAPITOLO XXV.

Delle misure delle Porte e delle Finestre.


NOn si può dare certa e determinata regola circa le altezze e le larghezze delle porte principali delle fabbriche e circa le porte e finestre delle stanze. perciocchè a far le porte principali si deve l’Architetto accomodare alla grandezza della fabbrica, alla qualità del padrone, ed alle cose, che per quelle deono essere condotte e portate. A me pare che torni bene divider lo spazio dal piano, o suolo alla superficie della travatura in tre parti e mezza, (come dice Vitruvio nel IV. Lib. al VI. Cap.), e di due farne la luce in altezza e di una in larghezza, manco la duodecima parte dell’altezza. Soleano gli Antichi far le loro porte meno larghe di sopra che da basso, come si vede in un Tempio a Tivoli, e Vitruvio ce lo insegna, forse per maggior fortezza. Si deve eleggere il luogo per le porte principali, ove facilmente da tutta la casa si possa andare. Le porte delle stanze non si faranno più larghe di tre piedi, ed alte sei e mezzo; nè meno di due piedi in larghezza e cinque in altezza. Si deve avvertire nel far le finestre, che nè più nè meno di luce piglino, nè siano più rare, o spesse di quello, che il bisogno ricerchi. Però si averà molto riguardo alla grandezza delle stanze, che da quelle deono ricevere il lume: perciocchè cosa manifesta è che di molto più luce ha di bisogno una stanza grande, acciocchè sia lucida e chiara, che una piccola: e se si faranno le finestre più piccole e rare di quello, che si convenga; renderanno i luoghi oscuri: e se eccederanno in troppo grandezza; li faranno quasi inabitabili: perchè essendovi portato il freddo, ed il caldo dall’Aria; saranno quei luoghi secondo le stagioni dell’anno caldissimi e freddissimi, caso che la regione del Cielo, alla quale essi saranno volti; non gli apporti alquanto di giovamento. Per la qual cosa non si faranno finestre più larghe della quarta parte della larghezza delle stanze: nè più strette della quinta: e si faranno alte due quadri e di più la sesta parte della larghezza loro. E perchè nelle case si fanno stanze grandi, mezzane e piccole e nondimeno le finestre deono essere tutte uguali nel loro ordine, o solaro; a me piacciono molto, per pigliar la misura delle dette finestre, quelle stanze, la lunghezza delle quali è due terzi più della larghezza, cioè se la larghezza è xviii. piedi, che la lunghezza sia xxx, e partisco la larghezza in quattro parti e mezza. Di una faccio le finestre larghe in luce e di due alte, aggiuntavi la sesta parte della larghezza: e secondo la grandezza di queste faccio tutte quelle delle altre stanze. Le finestre di sopra, cioè quelle del secondo ordine, debbono essere la sesta parte minori della lunghezza della luce di quelle di sotto e se altre finestre più sopra si faranno similmente per la sesta parte si deono diminuire. Debbono le finestre da man destra corrispondere a quelle da man sinistra: e quelle di sopra essere al diritto di quelle di sotto: e le porte similmente tutte essere al diritto una sopra l’altra: acciocchè sopra il vano sia il vano e sopra il pieno sia il pieno: ed anco rincontrarsi acciocchè stando in una parte della casa; si possa vedere fin dall’altra: il che apporta vaghezza e fresco l’estate, ed altri comodi. Si suole per maggior fortezza, acciocchè i sopra cigli, o sopralimitari delle porte e finestre non siano aggravati dal peso; fare alcuni archi, che volgarmente si chiamano remenati, i quali sono di molta utilità alla perpetuità della fabbrica. Debbono le finestre allontanarsi dagli angoli, o cantoni della fabbrica, come di sopra è stato detto: perciocchè

    non

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.