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V.

Montemurlo.

Nei miei ricordi giovanili, tra la tristezza della casa di via delle Ruote e le frequenti melanconiche gite a Prato dagli zii, sorride, fresca e verdeggiante oasi, la visione di Montemurlo. E io ho voluto intitolare con questo nome il presente capitoletto, perchè Montemurlo ha esercitato una grande influenza su tutta la mia vita e forse sull’arte mia.

Su quel poggio ridente, nella spaziosa canonica che la generosa antica ospitalità del pievano Gaetano Giunti mutava in una reggia, la mia piccola anima cominciò a entrare in una diretta comunione con le grandi bellezze della natura. E la vicinanza immediata della chiesa, il continuo svolgersi sotto i miei occhi, di tutte le più poetiche funzioni religiose — dalla prima messa quotidiana susurrata all’alba nella penombra della chiesa socchiusa, tutta odorosa di fiori e d’incenso, fino ai trionfali vespri domenicali — e fors’anco la piccola, scelta biblioteca del Pievano, contribuirono certo a sviluppare e ad allargare nel mio spirito quel sentimento del bello e quella misteriosa tendenza al misticismo che si verifica nella maggior parte dell’opera mia.

Di tutta la gente che mi circondava una sola persona mi capiva e seguiva amorosamente lo svolgersi della

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