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IDILLIO VIII 67

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Cosi con versi alterni cantarono i due giovinetti;
e all’ultime canzoni cosi diede il tòno Menalca.
MENALCA
Risparmia, o lupo, i miei capretti e le gravide capre,
male non farmi perché son piccolo, e grande è il mio gregge.
Làmpure, cane mio bello, tu dormi cosi della grossa?
Con un fanciullo sei: non va quel tuo sonno profondo.
Pecore, e voi non abbiate riguardo alla tenera erbetta:
fatene pur satolle, ché senza fatica rinasce.
Sotto, pascete, pascete, rempietevi tutte le mamme,
ché parte n’abbian gli agni, e parte lo pongan nei secchi.
E Dafni, dopo lui, dié tòno all’arguta canzone.
DAFNI
Dall’antro una fanciulla dai cigli congiunti mi vide
ieri, che le giovenche spingevo, e: ((Sei bello — mi disse —
sei bello!» — Ed io nessuna parola pungente risposi,
ma le pupille abbassai, tirai dritto per la mia strada.
Della giovenca è il mugghio soave, soave il respiro.
Dolce, vicino a un’acqua che passa, dormire l’estate.
Son della quercia fregio le ghiande, del melo le mele,
delle giovenche il vitello, le vacche di chi le pastura.
1 giovinetti cosi cantarono. E disse il capraro:
Dolce è il tuo labbro, o Dafni, piacer la tua voce m’infonde;
udire te che canti vai meglio che suggere miele.
Prenditi la zampogna: ché vinta hai la gara del canto.
Ché se tu vuoi, mentre io le greggi pasturo, insegnarmi.

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