Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
IDÌLLIO XV
111
siracusane: siamo corinzie d’origine, come
Bellerofonte: si parla la lingua del Peloponneso:
sarà concesso, spero, ai Dori, l’accento di Doria!_
Dea tutto miele, nessuno ci possa far mai da padrone,
tranne quell’uno. Te, chi ti sente? Tu chiacchieri al vento.
GORGONE
Zitta, Prassi’noe! La figlia d’Argeia s’appresta a intonare
l’Adone: un’arca ella è di scienza poetica. Prima
anche l’altr’anno fu, nel funebre canto di Sperchi.
Vedi, va in estasi già! Canterà qualche cosa di bello.
LA CANTATRICE
Signora, a cui diletti son Golgo, e l’idalia, e 1 eccelsa
Èrice, o tu che godi scherzare fra l’oro, Afrodite,
deh, come Adone a te, trascorsi sei mesi e sei mesi,
l’Ore dai morbidi piedi recar dal perenne Acheronte!
Tarde fra i Numi tutti son l’Ore soavi; ma pure,
giungono accette sempre, che recano doni ai mortali.
O Cipri Dionèa, la fama degli uomini narra
che Berenice tu da mortale rendesti immortale,
poi che stillasti ambrosia sul seno a la donna terrena.
Ora, o dai molti nomi. Signora, dai molti delubri,
di Berenice la figlia, Arsfnoe, ch’Elena uguaglia,
doni offre d’ogni sorte, per esserti cara, ad Adone.
Frutta mature presso gli stan, quante agli alberi in vetta
crescono; e l’erbe molli degli orti, in canestri d’argento,
bene coperte; e aromi di Siria entro ampolle dorate;
e quante leccornie su la madia impastan le donne.