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IDILLIO XXII

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Castore molti colpi su l’elmo crinito e lo scudo
vibrò: molti Lincèo dallo sguardo acutissimo, a lui
sopra lo scudo, o dove paresse il purpureo cimiero.
Ma mentre un colpo questi vibrava al ginocchio sinistro,
Càstore indietro, sul pie’ sinistro, si fece, e la destra
man gli percosse. Gittò la spada il ferito, e di corsa
fuggi sùbito verso l’avello del padre, dove Ida
stava sdraiato, e la pugna mirava dei prodi parenti.
Ma si lanciò, la spada sua larga di Tindaro il figlio
tra l’umbelico e il fianco gl’immerse: le visceri il bronzo
lacerò sùbito dentro. Lincèo su la bocca supino
si giacque; e greve a lui piombò su le pàlpebre il sonno.
Ma neppur l’altro dei figli veder Laocosa doveva,
compier le grate nozze vicino all’altare paterno.
Ida Messenio, d’un tratto, la pietra strappò dall’avello,
e s’accingeva già l’uccisore a colpir del fratello;
ma Giove Timpedi, gli fece cader dalle mani
lo sculto marmo, e lui bruciò con l’ardente saetta.
Facil non è venire coi figli di Tindaro a lotta:
ché sono essi gagliardi, da padre gagliardo son nati.
Figli di Leda, salvete I Largite perpetua fama
anche a questi inni miei: ché sono di Tindaro ai figli
cari i cantori tutti, ad Elena, a quanti campioni,
per vendicar Menelao, distrussero d’ilio la rocca.
AI vostro nome, eroi, provvide il cantore di Chio,
quando le navi cantò degli Achivi, di Priamo la rocca,
e le battaglie d’ilio, e Achille, gran torre di guerra.
Ed ora il miele anch’io per voi delle Muse, quel miele
ch’esse largiscono a me, che a me la mia casa provvede,
v’offro: ed i canti sono pei Numi l’offerta più bella.

Teocrito - 11

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