< Pagina:Idilli di Teocrito (Romagnoli).djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.

Amava un uomo, folle di brama, un crudele garzone,
che amabile era, si, d’aspetto, ma non di costumi:
ché chi l’amava odiava, né gli era cortese un sol giorno,
né conosceva Amore chi sia, quale Nume, quale arco
impugni, e quali amare saette sui giovani avventi:
era in ogni atto, in ogni parola, mai sempre implacato.
Né di sue fiamme aveva conforto l’amante: non guizzo
di labbro, non parola, che sono sollievi d’amore;
ma, come bieco il guardo si volge di fiera silvestre
sui cacciatori, cosi guardava quel giovin l’amante:
selvagge eran le labbra, brillavano truci gli sguardi,
e tramutava il viso per bile, fuggiva il colore
via dalle guance, per l’ira che tutto l’empieva. Eppur, bello
era cosi: quell’ira cresceva l’ardor dell’amante.
E infine, non potè’ sopportar tanta vampa d’amore,
ma presso alla sua porta crudele si fece piangendo,
e impresse un bacio sopra la soglia, e in tai detti proruppe:
«Tristo, selvaggio fanciullo, fanciullo di pietra, progenie
di lionessa maligna, non degno d’amore, a te reco

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.