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LA MORTE DI DAFNI
Dafni è l’Orfeo della Sicilia. La sua leggenda, piena di mistero, fu ripetuta mille e mille volte dagli antichi, sinché trovò espressione perfetta ne l’idillio di Teocrito. È questa una delle opere più profonde e suggestive della poesia greca. E una breve analisi non sarà superflua a mettere in piena luce il suo pregio singolarissimo.
L’idillio è composto di due parti. Nella prima, un capraro invita un pecoraro a cantare, promettendogli una coppa, che descrive con minuta squisitezza.
Nella seconda, il pecoraro canta la morte di Dafni.
E tra le due parti intercede grandissima differenza. La prima è occupata quasi tutta dalla descrizione, finissima. Ma la minutezza precisa delle pitture, direi delle miniature, e la loro esiguità, e il riferirsi non già a scene naturali, bensì ad un opera d’arte: tutti questi caratteri, non propri di Teocrito, ma comuni a tutta la poesia alessandrina, dopo un iniziale diletto, ingenerano qualche tedio. La donna lusinghiera piace, senza eccezione. Meno interessa il pescatore. Il fanciullo che intreccia gabbie, ci comincia a sembrare superfluo.