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NOTE XIII | 247 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Idilli di Teocrito (Romagnoli).djvu{{padleft:294|3|0]]NOTE XIII 247 XIII ILA Anche questo è tra gli idilli piú vaghi. Le sue immagini, fini e gentili, hanno un rilievo straordinario, per cui si vede proprio la poesia rivaleggiare in evidenza con la pittura. E sono, pel nostro sentimento, d’una straordinaria modernità. Non già perché ricordino opere dell’arte moderna ad esse piú o meno evidentemente ispirate; ma perché, ad onta della loro determinatezza, presentano tutte un che di vago e di sfumato, un carattere di magia e di mistero assai piú comune nella poesia moderna che nell’antica. E sarebbe, dal lato artistico, immacolato, se Teocrito non avesse anche qui bruciato il suo granellino d’incenso alla idiozia alessandrina. E, precisamente, nella immagine della chioccia e dei pulcini che tornano la sera al pollaio. In sé è graziosa; ma in questo contesto risulta appropriata come un asinelio in una sinfonia di luce di Turner. Il mito degli Argonauti, a cui appartiene questo episodio, è di cognizione comune. Il particolare delle Simplègadi, le due rocce poste all’entrata del Mar Nero, che, quando una nave tentava di passare per il mezzo, si avvicinavano l’una all’altra, e la schiacciavano, aveva già tentata la fantasia di Pindaro, che aveva cosi cantato il prodigio: E al grave periglio anelando, pregarono il Dio delle navi, che delle rupi cozzanti fuggire potessero l’urto terribile. Due
quelle erano; e vive; e sui flutti