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264 TEOCRITO

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Alcide, levando su erta la testa,
compiè quella prima sua zuffa,
le strozze ghermendo ai due draghi
con ambe le mani; né quelli
sfuggiron la stretta; e brev’ora
spazzò le loro anime dall’orride membra.

Oppure, quando Anfitrione corre al soccorso del figlio:

Ed Anfitrione, scotendo
ignuda nel pugno la spada,
moveva, ferito d’acuto travaglio:
ché il duolo domestico
ci schiaccia: pei danni degli altri,
ben presto serenasi il cuore.
E stette, sospeso fra gaudio
e immenso stupore;
ché vide l’ardire incredibile
del figlio, e la possa.

Ma addirittura schiacciante riesce il confronto fra le profezie che concludono rispettivamente i due carmi. Fra i «metodi» poetici dei dottissimi Alessandrini, ce n’era anche uno non discaro neanche a qualche poeta moderno: prendevano il testo, e spesso spesso anche le glose, di qualche bel manuale di mitologia, di storia, d’etnografia, e lo mettevano bravamente in versi, preferibilmente in distici elegiaci, e in paludamento di profezia. Teocrito fa qui come gli altri, e ci presenta un quadro dell’educazione di Ercole, che ha l’impostatura, anch’esso, di una profezia, ma la sostanza d’un programma di corsi ufficiali d’una scuola di cultura fisica.

Ben diversa è l’arte di Pindaro. Affissandosi alla gran moltitudine delle gesta compiute da Ercole, ne coglie, con profondo

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