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Per Amarilli voglio cantare la mia serenata.
Pascon le capre mie frattanto sul monte: le spinge
Tftiro. — Ti’tiro, a me tanto caro, pastura le capre:
guidale, Titiro, presso la fonte, che bevano; e tieni
d’occhio quel becco petulco di Libia, che avesse a cozzare!
SERENATA
O graziosa Amarilli, perché non fai più capolino
sotto a quell’antro? Perché non mi chiami più còccolo? Forse
tu m’aborrisci? Da presso, ti sembro davvero camuso?
Ti par ch’abbia la bazza? Farai, bella mia, ch’io m’impicchi.
Vedi, che dieci pomi ti reco. Li ho colti li, proprio
dove tu mi dicesti: domani, altri ancora ne avrai.
Guarda il corruccio mio, che il cuore mi morde! Potessi,
deh!, tramutarmi in ape ronzante, e traverso l’intrico
d’ellera e felce, che fitto lo maschera, entrar nel tuo speco!