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IDILLIO III | 25 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Idilli di Teocrito (Romagnoli).djvu{{padleft:62|3|0]]
Quando Ippomène volle sposar la fanciulla Atalanta.
i pomi d’oro sparse, correndo, pel suolo; e la bella,
come li vide, usci pazza, piombò nell’abisso d’amore.
E l’indovino Melampo, dai monti dell’Otride, a Pilo
d’ificlo spinse gli armenti. Cosi fra le braccia a Biante
d’Alfesibèa prudente la madre bellissima giacque.
E per i monti Adone, pascendo le greggi, non seppe
ridurre Citerèa la bella a tal furia d’amore,
che non lo sa dal suo seno staccare neppur dopo morto?
Degno è d’invidia per me quei che dorme un eterno sopore,
Endimione; e invidio Giasone, mia bella, che tanta
ebbe fortuna, quanta, profani, giammai non saprete.
Mi duole il capo; e a te nulla ne importa. Non vo’ più cantare.
Mi gitterò lungo a terra; e i lupi verranno a sbranarmi:
questo al cuor tuo sarà più dolce che all’ugola il miele.