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Dafni il bovaro e Damèta, un di’ nel medesimo luogo
spinsero, o Arato, le greggi. L’un d’essi era fulvo di pelo,
l’altro metteva la prima lanugine. Entrambi seduti
presso a una fonte, cosi cantar nel meriggio d’Estate.
Cominciò primo Dafni, che aveva lanciata la sfida.
DAFNI
O Polifemo, veh!, Galatea scaglia pomi al tuo gregge,
e d’un capraro parla che ha poca fortuna in amore.
Tu non le badi, tapino, ma siedi a suonar la sampogna
soavemente. Veh, tira di nuovo. Ha colpito la cagna
che ti vien dietro, e fa la guardia alle pecore. Abbaia,
vedila, guarda il mare. La specchiano i flutti che al lido
rompon con dolce susurro, mentre essa costeggia i frangenti.
Dàlie una voce, perché quando esce dal mare la bella,
non le si avventi agli stinchi, non sconci la bella persona!
Guarda, ella intanto folleggia laggiù, come gli aridi pappi
che svolano dal cardo quando arde la fulgida estate;
e fugge chi l’adora, va dietro a chi punto non l’ama.