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introduzione liii

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu{{padleft:58|3|0]]ciane; alla seconda appartiene il volgo. Non di rado però i primi, giusta le congiunture della vita, inclinano verso le grossolane credenze del popolo minuto; e il loro spirito forte è preso non di rado da que’ timori, che spingono gl’ignoranti a tutte le pratiche superstiziose, nelle quali degenerarono gli antichi insegnamenti del Buddha e di Lao-ze. Non ostante però la superstizione, e forse, anche a cagione di essa, i Cinesi tengono in generale in poco conto e poca stima gli Dei loro; e la indifferenza verso qualunque specie di culto regna in mezzo a tutto quel popolo: anzi è uno de’ suoi distintivi. Infatti corre nella Cina un vecchio dettato, che suona presso a poco così: «Le prigioni, che stanno ben chiuse, son sempre piene; le chiese, che stanno sempre a porte spalancate, son sempre vuote».

La religione nel senso elevato, nel quale la intendono altri popoli, è affatto incompresa dal popolo cinese: il fondo del suo carattere è lo scetticismo. Il cinese non agogna che i godimenti, di cui è capace la vita; e non vuole occuparsi di ciò che è nel dominio dello spirito, che concerne l’anima, che si riferisce a Dio e alla vita futura. «Le religioni son molte, egli dice, ma la ragione è una: siamo dunque tutti fratelli». Perciò non sa capire, che certe cose, per lui di sì poca importanza, abbian dato origine a odii, a guerre, a sterminii, come è accaduto fra

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