< Pagina:Il Vendemmiatore e La Priapea.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

DEL FRANCO. 163

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il Vendemmiatore e La Priapea.djvu{{padleft:171|3|0]]

CXCI.

Donne, saper dovete, ch’acqua rosa
  Non è, perchè la pinca ho sì bagnata,
  Ne acqua di fior d’aranci distillata
  4Per farla parer forse più odorosa.
Ma gli è stato un licore ed una cosa,
  Che non so dirvi come sia chiamata,
  Se non dico ch’è stata una sborrata
  8Di quella mia materia viscosa.
Direte forse, che miglior saria
  Empirne qualche forno a madrice,
  11Che farla andare così a mala via.
Questo è ben vero, ma chi ciò mi dice,
  Dovria saper che non è colpa mia;
  14Tal frutto nasce di cotal radice.


CXCII.

Sentomi già sì stanco di parlare,
  Mercè del mestier mio becco fottuto,
  Che ’l palato tutt’arso m’è venuto,
  4E i labbri insieme sentomi attaccare.
Cosa da farne molti sospettare,
  Vedendomi a tal termine caduto,
  Che per vedermi in carestía d’un sputo
  8I denti omai mi converria sputare.
Lodata ne sia sempre santa piva,
  E se non basta ancor sant’orinale,
  11Che la cagion si vede onde diriva.
Altrimenti diría chi pensa male,
  Che i labbri tengo asciutti di saliva,
  14Per servirmene anch’io da cardinale.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.