< Pagina:Il diavolo.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

L'inferno 293

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il diavolo.djvu{{padleft:301|3|0]]gni lampeggiamenti di quei nembi e vortici di fiamme, dal corruscare delle brage ammontate, dei metalli colati. Non mancò del resto chi disse il fuoco infernale aver l’ardore e non la luce, esser nere le fiamme che mai non si spengono.

Il regno della morta gente è vasto e profondo, come si conviene all’infinito popolo che vi si accoglie. In un antico poema anglosassone si dice che Cristo ordinò a Satana di misurarlo, e Satana trovò che dal fondo alla porta correvano 100,000 miglia. Giova per altro avvertire che il gesuita Cornelio a Lapide (1566-1637), autore di dieci volumi di commento sopra la Sacra Scrittura, afferma non avere l’inferno più di dugento miglia italiane di larghezza. Un buon teologo tedesco andò più in là e calcolò che una capacità di un miglio per ogni verso basta a centomila milioni d’anime dannate, le quali non hanno già a stare al largo e a loro agio, ma le une sulle altre, pigiate, come le acciughe nel barile, o gli acini dell’uva nel tino.

Dante ci descrive un inferno geometricamente costruito, diviso in cerchi, che facendosi sempre più angusti, vanno digradando verso il cen-

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.