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426 Capitolo decimoquarto

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il diavolo.djvu{{padleft:434|3|0]]volte diavoli cicaloni, fecero, non chiesti, conoscere ad uomini di santa vita, le arti loro più nascoste e più frodolenti, e Pietro il Venerabile s’ingegna di spiegare perchè essi, pur tanto astuti, facciano ciò. Il solito Cesario racconta che un diavolo s’andò un giorno a confessare, sperando perdono. Il confessore, prete caritatevole e discreto, non gl’impose altra penitenza se non d’inginocchiarsi ogni giorno tre volte, e dire con animo contrito: Signore Iddio, mio creatore, ho peccato, perdonami. Ma il diavolo, ch’era pur sempre un diavolo, la trovò troppo aspra al suo orgoglio, e non se ne fece altro. Guglielmo di Wadington, già ricordato altra volta, autore di un Manuale dei peccati, racconta la storia di un altro diavolo, che vedendo i meravigliosi effetti della confessione, e come molti si salvassero per essa, volle una volta confessarsi, e andò a recitare a un sant’uomo la sterminata e spaventosa lista de’ suoi peccati; ma senza effetto, perchè rifiutò di far penitenza. Altri sacramenti dovevano riuscir men gravi ai maledetti superbi. Dal famoso processo di Mora in Isvezia, nel 1669, venne fuori, insieme con

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