< Pagina:Il dottor Antonio.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
158 il dottor antonio

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il dottor Antonio.djvu{{padleft:162|3|0]]

— «Supponete,» diss’ella a un tratto, «che veniste a Londra e vi ci stabiliste.»

Antonio la guardò con vero stupore, poi le rispose: — «Bene, supposto ciò, che cosa ne verrebbe?»

— «Invero!» disse Lucy, «co’ vostri talenti e la vostra abilità di medico, e colla premura di papà, voi fareste presto una numerosa clientela e fareste fortuna.»

— «Non conveniste meco,» rispose Antonio sorridendo, «che la fortuna può essere un ribasso?»

— «È vero,» rispose Lucy piuttosto dimessa; «tuttavia par tanto naturale — n’è vero? — di provarsi a migliorar la propria condizione.»

— «Sta bene, ma il far fortuna migliorerà forse la mia condizione?» disse Antonio in ton di dubbio: «questa è la quistione. Poniamo per accordato che le difficoltà pratiche del progetto da voi raccomandato siano vinte; poniamo che la mia fortuna sia fatta. Io allora son ricco, ma a qual pro? E notate prima a qual costo; a costo di un completo esilio dal mio paese, cioè da tutte le mie inclinazioni ed abitudini, da molte cose che mi rallegrano l’occhio e il cuore, dalla lingua famigliare, dal mio caro e tepido sole, dall’azzurro mare e da questi boschetti di aranci che mi portano le profumate memorie della mia cara Sicilia. Tutte queste cose, forse lievi perdite per molti, sarebbero gravi per me; sopportabili, se la meta a raggiungersi fosse degna di tal sagrificio. A me manca affatto cotesta meta. Mia madre, grazie a Dio, è passabilmente provvista; gli altri miei parenti stanno bene abbastanza. Davvero non trovo quale aumento di comodi potrebbe arrecarmi una fortuna.»

Antonio fece pausa; ma siccome Lucy stava zitta continuò:

— «Una bella abitazione? — Ma mi trovo alloggiato come un principe nella mia casuccia a Bordighera, più grande, davvero, di quel che mi abbisogni; la quale per il sito e la veduta che ci si gode, vince molti castelli aristocratici. Certo io non ho tappeti di velluto, nè doppie porte imbottite di panno verde. A che servirebbero cose siffatte in questo clima geniale, ove gl’inverni sono sì miti e sì corti, che credo di avere appena una volta acceso il fuoco? Una ricca tavola? — ma la mia è una tavola da epicureo; qui non occorre essere un capitalista; non occorrono stufe per avere il lusso della tavola a propria disposizione. Equipaggio e cavalli? — non ho forse il calessino e la mia piccola rozza? E poi non mi piace il cavalcare e guidare; e non mi sento mai tanto felice, come

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.