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il 15 maggio 1848. | 291 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il dottor Antonio.djvu{{padleft:295|3|0]]intorno al Re, non risparmiava Antonio il suo partito ogni volta che ci trovava motivo di biasimo; e i liberali di Napoli paragonava qualche volta al cane della favola, che perdette la carne per correr dietro alla immagine. — «Per esempio,» diceva, «la Costituzione non è ancora stata messa in atto, che di già domandano ad alta voce che sia allargata. Il Parlamento non esiste ancora se non in carta, e gridano a più non posso contro la Camera dei Pari. Domandano che il Re invii un esercito in Lombardia a cooperare col Piemontese, e l’accusano nei loro giornali di essere Austriaco di cuore. E chi ne dubita? Ma a che giova il dirlo? È egli probabile, rinfacciandogli d’essere Austriaco, che si faccia diventare un patriota italiano?»
Il nuovo Ministero, precisamente su questo punto, a indurre cioè Ferdinando a prender parte attiva alla guerra di indipendenza, dirigeva i suoi sforzi: e nella speranza di potervi contribuire in qualche modo, Antonio restava ancora in Napoli. Questa decisione, se giovava alla causa dell’indipendenza italiana prediletta al cuor del Dottore, essa avrebbe anche portato con sè l’altro vantaggio — di rendere per allora impossibili le ostilità fra Napoli e Sicilia. Il tempo, quel grande pacificatore, avrebbe sanate poi di molte ferite, calmate molte passioni ardenti, e avrebbe spianato la via a qualche onorevole accordo futuro. La ripugnanza del Re a cedere anche una minima parte dell’esercito era estrema. Tuttavia era tanto forte su di ciò l’opinione della Capitale, i Ministri confessavano tanto vivamente l’impossibilità di continuare a governare se non vi si desse qualche soddisfazione, che il Re alla fine si decise. Fu spedito sul campo della guerra un corpo di truppe, forte di quattordicimila uomini; e una parte della flotta inviata nell’Adriatico, ad operare di concerto colle forze navali sarde e veneziane.
Compiutisi questi fatti, nulla più riteneva Antonio in Napoli, se non il dolce incanto sotto cui trovavasi, se non — aggiungiamo noi — il destino. Vicina era l’apertura del Parlamento napolitano. E perchè non vi assisterebbe egli a poter giudicare da sè dello spirito in esso dominante, e di ciò che se ne aveva a presagire per il futuro? E rimase.
Il Corpo legislativo doveva riunirsi il 15 di maggio. Il Ministero aveva pubblicato anticipatamente il programma della cerimonia da osservarsi in quel giorno; e diceva un articolo di quel programma che i deputati dovevano a giurar fedeltà al Re e alla Costituzione, ma non vi era fatta menzione di una clausola inserita dal Ministero del 3 aprile