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312 | il dottor antonio |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il dottor Antonio.djvu{{padleft:316|3|0]] al suolo erasi fatto male all’orecchio destro. Chiamò ajuto, ma nessuno comparve. Sentì bisbigliarsi intorno che presto aveva ad esser trasferito in un criminale, pieno delle più schifose sozzure, e che la sua condanna era irrevocabile. Dopo un mese di tale prigionia, sotto l’influenza combinata e di una tortura morale e della febbrile impazienza di aver notizie di sua madre, gli mancò il coraggio; e allora scrisse una lettera deponendo contro alcuni de’ suoi coaccusati — la scrisse per suggestione del Giudice Inquisitore, nella casa del Comandante del Castello, sotto l’occhio del Commissario. Ora egli ritratta tutto quello che sta scritto in quella lettera; nè basta questa piccola ritrattazione per rimetterlo in pace colla sua coscienza. Sente desiderio e necessità di fare ammenda ulteriore per il suo fallo. Desidera domandar perdono, e lo domanda ora in presenza dei giudici e del pubblico — ai suoi cari amici, indicando gli altri prigionieri. La sua voce, tremula per la commozione, penetra in cuore a tutti gli astanti.
Questo concerne il buono e l’umano trattamento dei prigionieri prima del loro giudizio. Ora, per una semplice illustrazione, vediamo il modo umano con cui furono trattati durante il giudizio.
La Corte aveva riprese le sue sedute, sospese per una quindicina di giorni a causa della seria malattia dell’accusato Leipnecher, già capitano nell’esercito. Il presidente Navarro, impaziente di proseguire la causa, la mattina del 17 giugno, di buon’ora, aveva voluto parlare ai sette medici di Leipnecher, e loro aveva fatto sapere che il giudizio doveva andare innanzi per ogni modo. Non esigeva da essi che la risposta ad una sola domanda: — Poteva Leipnecher esser tradotto innanzi alla Corte senza pericolo di morte immediata? Dopo avere timidamente arrischiate alcune osservazioni, i medici risposero che Leipnecher non aveva febbre, e benchè soffrisse certo di irritazione nervosa, questa non gli impediva di poter essere presente alla seduta; ma doveva essere trasportato nella sala su di una sedia, e s’aveva a prenderne cura conveniente, giuntovi. Il Presidente occupa quindi il suo seggio alla Corte; e a un suo cenno, una portantina circondata da numerosi gendarmi viene introdotta nella sala. Gli inservienti della prigione ne tiran fuori un infermo affatto incapace a sostenersi; lo trasportano sulle braccia come un fanciullo, e lo mettono sopra una sedia, accomodativi due cuscini per sostenerne il capo. Si fa l’appello nominale de’ prigionieri, di Leipnecher fra gli altri; ma egli non risponde. Egli non può — egli nulla ode. Alla fine sollecitato da’ suoi com-