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— Senti, senti, cuoricino mio! Senti il babbo e zio Salvatore..... andiamo ad incontrarli! Portano un porcellino a Domenico, non è vero? Senti, senti, il porcellino ti chiama!

— Senti, senti, porcellino chiama Domenico — gridò il bimbo aggrappandosele al collo.

Ma mentre ella stava per uscire, Costanza le si slanciò sopra e le tolse il bambino.

— Vado io; tu resta qui! — disse aspramente.

Ella sentì come una pugnalata; restò muta e stecchita, quasi spaventata, e in quel momento s’accorse che l’astio di Costanza s’era fatto odio.

— Stanotte entrerò — pensò — non ne posso più; se la magìa non riesce, me ne vado.

— E Cicchedda? — domandò vivamente Alessio, vedendo Costanza col bimbo che strillava:

— Porcellino, porcellino mio, dov’è?

Era quasi notte; una notte fredda, nebbiosa, umida e piena di vento.

— È malata.... perchè credeva che stasera restavate fuori di casa — rispose Costanza con un tristo sorriso.

Anche Alessio sentì qualche cosa nella voce della cugina, e vedendo Cicchedda pallida e seria ne provò pietà: per confortarla la guardò, e le mise egli stesso il bimbo fra le braccia. Ella riprese un po’ di buon umore, non rispose alle querimonie di Costanza e attese.

Andata a letto, non chiuse occhio; sentì Alessio uscire e rientrare verso le undici, e con gli occhi

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