< Pagina:Il tesoro.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 201 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il tesoro.djvu{{padleft:211|3|0]] vece di salire da Salvatore, bussò alla porta di Alessio.

— Lèvati presto! Battono forte al portone.

— Chi? — gridò Alessio.

— Non lo so.

— Chi è? chi è? Aspettate! — gridò Costanza dal portico verso chi picchiava. La sua voce si smarrì nel vento, ma tosto cessarono i colpi, e un’altra voce rispose:

— Sono ioooo!

— Mi sembra la voce di Antoni Canu. — Cosa sarà accaduto, Dio mio? — disse ella con voce alterata.

Tremando di freddo, rientrò nella cameretta, dove Cicchedda accendeva il lume, e si infilò le scarpe.

— Cosa è? chi è? — domandò la servetta, ma ella non si degnò risponderle.

Intanto, al chiasso, Salvatore ed Agada si levavano; Alessio, in manica di camicia, attraversò il cortile pieno di neve e di fango, e aprì il portone. Era infatti Antoni, uno dei due servi pastori che guardavano i porci.

Il poveretto era più morto che vivo, e narrò in poche parole un avvenimento assai facile ad accadere nel nuorese, ma non perciò molto allegro. Era avvenuta una bardàna (una razzìa), cioè un gruppo di ladri, camuffati e tinti, nelle prime ore della notte s’erano introdotti nell’ovile, legando fortemente i pastori e rubando i

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.