< Pagina:Il tesoro.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 212 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il tesoro.djvu{{padleft:222|3|0]] late rese marmoree da una maga capricciosa e strana, fino all’orizzonte ove le ultime montagne svanivano grigie e fredde.

In questa luce vaga, bianca e smorta, il viso di Alessio apparve d’un pallore fosco e livido; i cavalli affondavano fino a metà zampa nella neve; però ora si distinguevano i pericoli, e Salvatore Brindis, assonnato, malconcio e di pessimo umore, poteva evitarli.

La luce fredda del giorno, diradando a poco a poco il profondo velario delle nubi vinse il bagliore della luna, che tramontava come una piccola nuvola sbiadita, e Alessio, arrivato il primo sulla pianura di Oliena, scorse col suo acuto sguardo di falco la figura lontana d’un uomo.

— Ecco Sidòre, eccolo! — gridò.

Era infatti il pastore partito coraggiosamente dietro i ladri; ritornava in uno stato miserabile, fradicio fino alle ossa; camminava a stento: ma quando vide il padrone sorrise fieramente.

— Ah — disse con semplicità — temevo che avreste preso altra via!

— Ebbene? — domandò Alessio chinandosi sulla sella.

— È questa, proprio questa la via! Guai, guai se questa volta non fate iscaddura! (Esempio che desti spavento e timore) — disse il pastore, e a sua volta cominciò a imprecare orrendamente.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.