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Allora egli non ebbe più freno, sentì davvero una pazza voglia di strangolarla, e gridando:

Su diaulu chi tinch’a carrau! Non so proprio cosa mi tenga da... Fammi il santissimo piacere, va via di qui, e presto! altrimenti gridi davvero! — e le diede uno spintone verso la porta.

— Non l’avete con me! — gridò ella inviperita. — Con Salvatore Brindis l’avete, perchè vi ha scacciato di casa sua! E con chi vi ha ammazzato le cavalle. Ora — gli disse andandosene — ora portatevi qui l’olianese: essa salirà mettervi ordine in ogni cosa....

Ma queste parole, anzichè inasprirlo, lo calmarono. Aveva già pensato d’indur Cicchedda ad abitare con lui; e uno scrupolo tardivo, e il pensiero che ciò gli avrebbe inimicato tutta la parentela e resa impossibile la pace coi Brindis, l’aveva soltanto trattenuto dal formulare apertamente il suo desiderio. Le parole velenose della domestica gli fecero effetto: per gli avvenimenti della giornata era in uno stato d’animo da dimenticare completamente ogni scrupolo, agognando a un po’ di bene. Oramai Cicchedda era una buona massaia; gli avrebbe tenuto bene la casa, e chetato e guarito il bambino.

Pensava egoisticamente così, seduto accanto al letto ove Domenico, febbricitante, s’addormentava con lamento fioco e continuo. Solo il timore che i parenti s’offendessero lo tenne ancora

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