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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il tesoro.djvu{{padleft:264|3|0]] in dubbio; e per quella sera, recatosi da Cicchedda, non le disse nulla, mostrandosi triste per la disgrazia dei cavalli e per lo stato poco soddisfacente del bambino.
— Chiama sempre te: io credo sia ammalato perchè gli manchi tu: se venissi a vederlo forse gli farebbe bene — le disse.
Ella arrossì, e negò vivamente di visitar il bimbo, benchè ne sentisse un desiderio struggente: egli allora capì che forse era inutile tentarla ad abitare con lui; ma comare Franzisca, saputa la cosa, l’indomani mattina andò a trovarlo, chiedendogli se aveva bisogno di qualche servizio. E capitò a tempo.
Domenico, dopo aver passato una cattiva notte, ora smaniava, con gli occhi cerchiati di grigio, i polsi irregolari e il ventre duro e ardente.
— Che abbia i vermi? — domandò ipocritamente la donna, guardandolo.
— Non so — disse Alessio disperato. — Non ne capisco nulla. Dacchè siamo qui ha fatto una vita infame, non ha mangiato nè dormito come Dio comanda.
— Forse Cicchedda potrebbe.... — cominciò la donna, con tono indifferente, sempre guardando il bimbo.
Alessio la fissò e non la lasciò proseguire. La sera prima gli avevano narrato che i Brindis s’eran rallegrati delle sue disgrazie; ed egli, per tutta la notte, tormentato dal lamento di