Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 284 — |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il tesoro.djvu{{padleft:294|3|0]] e per pietà, per paura d’una disgrazia, per amore e per carità scrisse ancora....
Così passò un anno.
A poco a poco le lettere di Paolo diventarono più calme e serene. Pareva che la parola d’Elena, che pur gli si diceva «amica e nient’altro che amica,» lo rasserenassero e lo facessero obliare.
Un giorno scrisse che oramai considerava Sara come morta; infatti non la nominò più e parve dimenticarla completamente, e smettendo ogni ira parve tornare il Paolo di prima, dalla grande anima gravemente poetica, aperta a tutte le migliori vibrazioni della vita.
E tornò ad avvolgere Elena nell’incanto appassionato di un ultimo amore, puro e sublime come un tramonto d’autunno.
Ma Elena non era più la stessa.
Anche lei amava sempre, e in certi giorni tornava a godere le misteriose sensazioni d’una volta, piene di sogni e d’estasi, ma grandi nubi passavano, turbandola e gelandola.
Era sempre l’ombra dell’altra, impalpabile e fosca come una nuvola, che si frapponeva, si allargava, velando tutto l’infinito del sogno; dietro il triste ostacolo Elena sentiva Paolo sfuggirle, mentre era lei stessa che si allontanava da lui. Egli dimenticava, ed essa non poteva fare altrettanto; la sensazione amara, fredda e diffidente del primo giorno di dolore le era ri-