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XV.


Dal giorno seguente le nuvole cominciarono ad accavallarsi sull’orizzonte, rappresentando, come nella ballata di Gautier, strani miraggi di piombo, miniati di fuoco o sfumati in toni grigi, nebbiosi ed umidi. Erano città di bruma, palazzi e torri sottili, trasparenti come veli di pioggia, e cattedrali fantastiche, cupole di granito umido, parchi e giardini dipinti a pastello, ponti d’acciaio gettati attraverso larghi fiumi stagnanti e lividi, e pianure allagate di vapori rossastri, e lontani laghi vitrei e foreste violacee che tremavano camminando e dissolvendosi verso ignoti lidi — e infine mari di pietre, scogli turchinicci e montagne altissime, montagne di bronzo che serravano e oscuravano tutto l’orizzonte.

Elena non scendeva più nel giardinetto, ove gli alberi oramai spogli del tutto ripiegavano i rami rossastri, cosparsi di perle gialle di resina quasi liquida, al soffio del vento freddo, che portava dalla montagna larghe ondate di vapori grigi ed amari come fumo.

I vividi occhi d’Elena andavano spegnendosi a poco a poco, quasi velati dalle nebbie dell’autunno morente; una immensa tristezza le gra-

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