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Una curiosità intensa mista ad un vago timore l’occupava tutta, sottraendola alla solita indifferenza. La giornata era nitidissima e fredda, e l’acuta luce del sole — un sole invernale che i nuoresi chiamano sole coi denti accresceva la sensazione algida dell’aria tagliente, in cui si sentiva un lontano odor di neve.

Ma il salotto era tiepido e allegro; attraverso i vetri irradiati dal sole tremava la visione cerula delle montagne d’Oliena, profilate di neve, e si scorgevano gli orti umidi, dove l’erba invernale, fredda e lucente come smeraldo, rabbrividiva al vento.

Elena aspettava da circa un’ora quando giunsero il giudice istruttore e il suo vicecancelliere accompagnati da Cosimo.

— Vengono — disse Giovanna, socchiudendo la porta del salotto.

— Buon giorno, signorina — disse il giudice a Giovanna, guardandola fissamente. Era Carta-Selix, che indossava elegantemente un macfarlan grigio.

Giovanna rispose al saluto arrossendo, benchè la voce del magistrato fosse fredda e rigida e lo sguardo quasi duro.

— Passino — disse Giovanna andando verso la porta del salotto, e mentre i signori entravano li esaminò meglio, con tutta la sua curiosa attenzione, cui non sfuggiva alcun particolare, dalla spilla della cravatta alla grandezza dei piedi.

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