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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Il tesoro.djvu{{padleft:346|3|0]] rimprovero — sei di nuovo qui? Vattene, levati su, sii forte, via, Giovanna!
La fanciulla sollevò il volto, acceso per le lagrime, e vedendo Paolo De-Cerere cessò di piangere; si alzò rapidamente, e, ritirandosi a pie’ del letto, guardò il suo antico amico con grandi occhi spalancati di bambina sorpresa e curiosa.
Ma egli non le badava.
Egli guardava Elena, e non vedeva altro.
La «piccola fata» era tutta vestita del suo abito candido; aveva le scarpette di raso bianco, i guanti bianchi, i capelli raccolti entro un pettine d’argento e di brillanti che scintillavano alla luce dei ceri.
Il volto, sebbene scarno e cereo, parve a Paolo più bello di quello conservato nell’ultima memoria. Un cuscinetto di velluto nero ricamato a grandi rose le posava accanto; e Paolo (avendoglielo ella una volta scritto) indovinò che racchiudeva le sue lettere, e che, per desiderio estremo, doveva servirle da pietoso guanciale nel letto dei sogni eterni.
Ei guardava intensamente le lunghe ciglia abbassate della «piccola fata» e di nuovo pensava alla lettera scritta all’alba, al gran mistero intraveduto e sfuggito.
Di nuovo smarrì l’idea del tempo, del luogo, dei suoi movimenti; solo gli sembrò di chinarsi chiamando dolcemente:
— Elena! Elena!