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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Irving - Lo straniero misterioso (1826).djvu{{padleft:35|3|0]]nanzi. Era ella stessa, fatta pallida dai cordogli, e nondimeno perfezionata in bellezza più che nol fosse quando ultimamente la vidi. Questo intervallo trascorso avea svolte in lei nuove grazie della persona; e le afflizioni che sopportò aveano diffusa pel suo volto una tinta di tenerezza soggiogatrice de’ cuori.
Ella arrossì, diè un tremito nel vedermi, e le lagrime le ingombrarono gli occhi nel rammentare in compagnia di quali persone si era trovata allorchè fece la mia conoscenza. Per parte mia non trovo parole ad esprimere da quali commozioni fossi compreso. Pure superai a gradi a gradi quella eccessiva trepidazione d’animo che su le prime mi avea fatto stupido dinanzi a lei: perchè in fine ci sentivamo attratti vicendevolmente da una simpatia di comuni circostanze. Avevamo entrambi perduto il migliore amico che ci rimanesse sopra la terra: entrambi in tal qual modo ci trovavamo alla mercede dell’altrui umanità. Quando poi giunsi a poter apprezzarne le qualità morali, ah! trovai confermata interamente la pittura che la mia immaginazione si era formata di lei. Il noviziato del mondo ch’ella stava allora incominciando; una squisitezza di sentimento che la trasportava verso quanto v’è di bello e d’amabile nella natura, erano altrettante cose che mi rammentavano lo stato dell’animo mio quando fuggii di convento la prima volta. Il suo retto sentire confortava il mio intendimento; la soavità della sua indole si dilatava attorno al mio cuore; e quelle amabili grazie nella freschezza di lor primavera diffondeano un delizioso delirio per la mia mente.
Io la contemplava con una specie d’idolatria; e riguardandola siccome cosa più che terrestre, mi sconfortava l’idea d’essere così poco degno di starle al paragone. Tuttavia ella era terrestre, e d’un terrestre capace di sentire grandemente, e di prestarsi agl’impulsi d’amore, perchè di fatto mi amò.
Come io giugnessi a scoprire una tal verità, che mi trasse