< Pagina:Jessie White La miseria di Napoli.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

ancora dei rimedii. 245

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Jessie White La miseria di Napoli.djvu{{padleft:259|3|0]]ad annaffiare i proprii orti! o altrimenti quelle debbono adattarsi a lunghissimi tragitti per trovarne di bevi bile. — Avutala, bisogna cucinare qualche cosa; e questo qualche cosa consiste in foglie di rapa, di cui si fa grande uso in queste Provincie e le chiamano broccoletti di rapa, che condiscono col sale e qualche volta con un poco di olio e di aglio soffritto. Della qual cosa e di pane e fagioli componesi generalmente il loro cibo. È materia di lusso il raro piatto di maccheroni condìto con solo pomidoro.

Dopo tante fatiche per mangiare così male, eglino si coricano in camere affumicate e luride, stipati e spesso nella indispensabile compagnia del mulo e del maiale. Io non so davvero che cosa stia a fare al mondo certa gente. Forse per patire? o per nutrire chi vive di ozio? Che attrattive può avere così la vita? Eppure sono buoni, docili, e non si lamentano. Si lasciano scorticare, e baciano la mano dello scorticatore. E come sono scorticati!

Difatti, prima del 1860 questa gente prendeva ad affitto i poderi dei Galantuomini, pagando una quantità stabilita di cereali all’epoca della raccolta; e quando andava a lavorare ad opera era rimunerata con due carlini, che corrisponderebbero a 17 soldi (senza alcuna somministrazione di cibo ). Venne il 1860; il prezzo del denaro decrebbe per equiparare a quello dell’estero; o in altri termini i generi rincararono; inoltre, tasse sempre più gravose s’imposero sui proprietarii e sul popolo.

Sembrerebbe che per questi due fatti la mercede del contadino avrebbe dovuto crescere.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.