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la ricchezza dei poveri. 61

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Jessie White La miseria di Napoli.djvu{{padleft:75|3|0]]strato, deve in verità bastare a soccorrere gl’infermi e gl’inabili al lavoro, e ad allevare, educare, istruire le nuove generazioni a guadagnarsi la vita e a conservarla sana e robusta, in modo che nella giovinezza e nella virilità si possa mettere da parte quanto basta per sostenere con decoro la vecchiaia.

E veramente per toccare questo scopo si ha da ritornare alla tanto calunniata età pagana, all’epoca greco-romana, quando le opere di pubblica beneficenza, nelle Provincie napoletane, erano Collegi e Corporazioni d’arti e mestieri, che i frati e le monache convertirono in Congregazioni, Confraternite e Diaconie, trasformando allo stesso tempo i lavoranti in mendicanti, gl’indipendenti in dipendenti.

Restringendoci pertanto alla sola città di Napoli, troviamo 319 Opere pie, con una rendita annuale di lire 7,154,859.

Alcune delle quali meritano veramente la pena di essere visitate dai sotterranei al tetto; e in primo ordine sta il maestoso Albergo dei Poveri.

Ci sono istituzioni per tenere i fanciulli poveri d’ambo i sessi dai due ai sette anni, per dar loro gratuitamente l’educazione fisica ed intellettuale, per nutrirli durante il giorno, dovendo essi la sera rientrare nelle rispettive famiglie; per curare donne inferme a cagione di mali acuti; per educare fanciulle di natali civili e di scarsa fortuna, ed accogliere donne nubili e bisognose, di civil condizione, atte al servizio dello Spedale, della Casa di educazione e del Conservatorio; per ospitare, vestire ed alimentare vecchi maschi napolitani, poveri, ed inabili al lavoro, dell’età dai 50 ai 70 anni; per acco-

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