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prefazione 11

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'aes grave del Museo Kircheriano.djvu{{padleft:27|3|0]]essi la guerra. Né certo fra i trambusti delle battaglie sarebbono forse mai pervenuti allo studiato ritrovamento dell’aes grave signatum.

Abbiamo già fatto cenno d’una terza sentenza pretermessa da Plinio, e da Macrobio riferita. Narra costui (Saturn. L. 7.) che non già Servio, né Romolo, ma Giano fosse il primo a segnare moneta, e che per riverenza e gratitudine verso Saturno, da cui molte ed utili dottrine aveva apparate, nel rovescio di essa vi effigiasse la prora di quella nave, su la quale il benefico ospite aveva approdato a’ vicini lidi. Non sappiamo ciò che v’abbia di storico e di vero in cosi fatto racconto. Ma se v’ ha pur qualche cosa da potersi quinci ad utile de’ nostri studj ricavare, si è, che rimontando quivi Macrobio a’ tempi di Saturno e di Giano, che di parecchi secoli precedettero la fondazione della città di Romolo, pare abbia con ciò voluto ricordare il primo ritrovamento della moneta, le cui origini per tal guisa andrebbono a confondersi con le origini della prima civiltà della nazione. Ma nella forma con che sono operati i nostri monumenti non sappiam noi trovare una conveniente ragione di risalire tant’alto. Oltredichè non vedendo noi la nave di Macrobio fuori della moneta romana, che è tutta segnata con quella impronta, siam costretti a dire, ch’egli favoleggia quando a Giano l’attribuisce. Una saggia critica con mettere le parole di Macrobio a confronto delle monete italiche a cui si riferiscono, e che qui da noi si publicano, ci potrà dire qual giudizio abbiasi a formare di loro.

Plinio dal suo canto con rimanersi incerto a quale delle due sentenze da se riferite possa con maggior sicurezza attenersi, pare che altra cosa non voglia significarci, se non che immemorabile era in Roma l’uso di quest’arte. E se a noi, posti a sì enorme distanza di tempi, conceduto fosse ciò ch’egli arrogar non si volle; il giudicare cioè tra l’autorità di Timeo e quella del collegio de’ fabri da Numa istituito, con troppo buon diritto rigetteremmo il racconto dello scrittore forastiero e greco, che da quanto appare su niun solido fondamento stabilisce quel fatto, e ci appiglieremmo alla validissima dimostrazione del collegio istituito dal secondo re di Roma. Plinio medesimo non avrebbe in un libro posteriore riferito questo fatto, quando non avesse voluto, se non ritrattare, almeno diminuir fede a ciò che raccontato avea nel libro precedente. Ma posciaché egli non vuole apertamente dichiararsi, neppure noi, che sforniti siamo d’ogni autorità, con tutto ciò che abbiamo detto intendiam di togliere la questione dal luogo ove la troviamo. Tuttavia ci facciamo lecito di conchiudere, che da Plinio non si potrà ricavare giammai una prova incontrastabile del preciso tempo della introduzione della moneta figurata in Roma, e molto meno un certo avviso della prima origine di quest’arte in Italia.

Trapassa quindi lo storico alle impronte della moneta romana, nella quale seconda parte di sua narrazione ne mette nell’animo, come accennavamo, il grave sospetto del non aver egli mai avuti innanzi agli occhi i

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