< Pagina:L'aes grave del Museo Kircheriano.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.
72 PARTE SECONDA CL. I.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'aes grave del Museo Kircheriano.djvu{{padleft:88|3|0]]antichi storici, furono in tante occorrenze dalla vincitrice Roma condannati i popoli dell’Italia media, si pagassero con una parte di quelle monete, che noi fin qui abbiam cercato di far conoscere. Ma prevediamo che alcuni dureranno grande fatica a convenire in queste premesse, perché forse non incontreranno pienamente il loro gradimento le conseguenze che di là discendono ad illustrare la storia delle arti italiche. Noi con la fiducia che la buona ragione ne mette nell’animo, dichiareremo queste conseguenze liberamente, come abbiam praticato nelle precedenti quistioni.

Prendiam le mosse dal tempo. Com’è debito della scienza numismatica il rintracciare ed indicare i luoghi in cui le monete sono state fabricate, cosi è l’altro del rintracciarne ed indicarne i tempi. Al primo debito abbiam cercato di sodisfare proponendo quelle molte congetture, le quali se non ci pongono in possesso del vero, varranno almeno a dissipare una parte di quelle tenebre, nelle quali il vero si sta sepolto. Sodisfaremo al secondo debito con argomenti di diverso genere, ma forse di maggiore efficacia. Noi teniam quasi per indubitato, che le monete coniate della Tavola XII. sono dalla prima all’ultima anteriori alla moneta delle romane famiglie. Come in Roma cessò quasi interamente il democratico costume della moneta senza nomi e senza insegne private, per dar luogo alla istituzione aristocratica delle famiglie più potenti della republica; cosi cessò interamente nel nuovo Lazio; giacché, secondo il cenno già datone, le famiglie delle città latine vanno del pari in questa maniera di monete con le famiglie romane. Non possono per altro essere anteriori al tempo in cui Roma costituì il nuovo Lazio, e lo chiamò a parte di sua cittadinanza. Imperochè a popoli servi Roma non avrebbe mai lasciato il potere libero di segnar moneta, la qual serbasse una qualche insegna della perduta indipendenza, o ne ravvivasse le istoriche memorie. Né è verisimile che durando la libertà e l’indipendenza, questi popoli si fossero avviliti a stampare su la moneta propria una qualche insegna della nemica Roma, e a scolpirne costantemente il nome.

Una pruova di grande autorità che tra la moneta latina con l’epigrafe ROMA e ROMANO e la moneta de’ latini liberi ed indipendenti si frapponesse un intervallo ben lungo d’anni, l’abbiamo non solo nella storia, ma eziandio nella moneta di Roma. La storia ci mette in palese la pertinacia orgogliosa de’ romani, che non avrebbon mai voluto accondiscendere alle oneste dimande de’ latini, i quali con si buone ragioni chiedevano i diritti della cittadinanza. Ma la moneta romana che in quel fratempo usciva dalle romane officine è d’un peso molto minore del peso primitivo. Se i latini non avessero avute chiuse le officine proprie, ci avrebbono anch’ essi tramandate cotali testimonianze di diminuzione, come fecero i tudertini nell’Umbria, ed i luceriesi nella Daunia, ciò che a suo luogo vedremo.

Risalendo per i giusti gradi della storia e de’ monumenti, siamo giunti a quel termine, in cui cessò la moneta libera de’ popoli cistiberini. Accen-

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.