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106 l’edera

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Quando Paulu e l’ospite andarono dal Rettore, la sorella, — una piccola vecchia dalla cuffia di broccato, — cominciò appunto a ricordare la storia della grassazione. Probabilmente, da quarant’anni in qua ella non faceva altro che raccontare quella storia. La sua bocca spalancata, gli occhietti neri fissi e vitrei parevano ancora pieni del terrore di quell’ora mostruosa.

— Ce n’era uno, di quei demoni, alto e nero, con una sopraveste di pelle, lunga quasi fino alle caviglie: pareva un enorme montone rizzato sulle zampe posteriori. Figli miei, io lo sogno tutte le notti, sempre con terrore, quel demonio nero peloso... Ah, ci hanno rovinato: non ci lasciarono neanche cenere nel focolare.

Basta, la conclusione fu che nè il Rettore nè la vecchia avevano denari disponibili. Paulu uscì da quella casa con la disperazione nell’anima.

— Ballore questa mattina deve aver consigliato la vecchia a negarmi il prestito, — pensò.

Il dolore e l’umiliazione risvegliarono il suo orgoglio, e come con don Peu, finse con Ballore una spensieratezza e un’allegria esagerate. Rimase tutto il giorno nel villaggio, spese il resto delle cento lire in doni per le sue ospiti, bevette e rise.

Ripartì il giorno dopo, all’alba: non sapeva dove dirigersi, ma non voleva assolutamente tornare in paese senza i denari.

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