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114 l’edera

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— Vieni pure, — rispose la vedova. — Ma bada che a tavola devo servire io sola. Non voglio che tu mi ajuti.

— Come si fa, allora? Non posso guardare gli invitati, — rispose l’altra.

La mattina per tempo ritornò, e subito ricominciò a scherzare. Disse che uno degli invitati, un certo Matteu Gorbu detto Brente ’e leone[1], l’aveva una volta chiesta in matrimonio.

— Non l’ho voluto perchè era un mangione: tanto è vero che s’è mangiato tutto; avrebbe finito col mangiarsi anche sua moglie.

Ma Annesa non badava a zia Anna. Cucinava e pensava con angoscia a Paulu assente da tre giorni. Dov’era egli? Perchè non tornava? Le parole di lui le ritornavano in mente con sempre più cupa minaccia.

— È l’ultimo viaggio questo: o trovo o...non torno!

Ogni tanto, quando nella straducola risuonava il passo d’un cavallo, ella palpitava: ma non era il passo del cavallo bajo: la speranza svaniva, l’inquietudine cresceva. Come al solito, ella era vestita decentemente, pulita, pettinata con cura: ma donna Rachele, che entrava ed usciva, dalla camera alla cucina e da questa al cortile dove era stato acceso il fuoco per cuocere la pasta e arrostire la carne, notava in lei qualche cosa d’insolito e di strano.

  1. Ventre di leone.
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