Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
l’edera | 181 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'edera (romanzo).djvu{{padleft:183|3|0]]
Scese lentamente, per una scaletta a piuoli, mentre Annesa versava, dalla brocca deposta su una pietra, un po’ d’acqua nella sua anforetta.
— Prendo un po’ d’acqua: domani ve la riporterò, zia Anna.
— Anima mia, con gl’interessi la voglio! esclamò l’altra, scherzando. — Ballora riporterà Rosa a casa vostra, ora, nel ritornare dalla fonte. Hanno aperto il testamento? — domandò poi. — È vero che lo aveva in consegna Prete Virdis? Ah, quel vecchio istrice! Non gli pesino neanche come una foglia di rosa le mie parole, ma egli era ben gretto e diffidente... Oggi poi s’è sparsa la voce che Paulu l’abbia fatto morire a furia di bastonate.
— Ah, — gridò Annesa, ricordando le parole del cieco, — si dice questo?
— Chiacchiere, anima mia! Ma che hai?
Annesa tremava di febbre e di paura: pensava però che non doveva tradirsi, e rispose con calma:
— Tutte le sere, da qualche tempo in qua, ho la febbre. Ora vado e mi corico; sono stanca morta; vedete, zia Anna, ho la schiena rotta, come avessero bastonato anche me... Addio, parleremo un’altra volta. Lasciatemi andare.
— Verrò da voi più tardi, anima mia, — disse la zia Anna accompagnandola fino al sentiero che attraversava la china rocciosa. — Se incontri Ballora dille che s’affretti; è già tardi.
Annesa affrettò il passo, con la speranza di trovar Paulu già rientrato; ma a metà strada, in una viuzza solitaria, le parve di udire la voce di