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184 l’edera

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'edera (romanzo).djvu{{padleft:186|3|0]]su per la scaletta di pietra, salì al primitivo belvedere dove nei giorni della festa i priori si riunivano per prendere il fresco e giocare alle carte. Era una specie di loggia a tre arcate, coperta da un tetto di canne, e circondata da un parapetto di pietre. Ella s’inginocchiò davanti al parapetto e sporse appena il viso fra due pietre: sul suo capo, nello sfondo della rozza arcata, brillavano le stelle; tutto era silenzio, pace, ombra.

Il cuore le batteva convulso, la febbre aumentava il suo terrore. Le pareva che fantasmi mostruosi l’inseguissero, per afferrarla e gettarla in un luogo più misterioso e spaventoso di quell’inferno al quale non credeva. Il caos era intorno a lei: un’ombra, una nebbia, una notte tormentosa, senza fine.



Fu davvero una notte tormentosa, più terribile ancora della notte scorsa. Dal suo nascondiglio ella poteva scorgere la spianata, la china rocciosa e la casa della zia Anna. A lungo un lumicino brillò nella porta della casetta; ella vedeva delle ombre muoversi, e le pareva di sentire il pianto di Rosa e rumori vaghi, indistinti: ma poi tutto fu silenzio. Un uomo a cavallo attraversò la spianata: il cielo ad oriente s’imbiancò. Alquanto rassicurata, ella si alzò, si scosse, ragionò.

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