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l’edera | 191 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'edera (romanzo).djvu{{padleft:193|3|0]] Fantasmi mostruosi sbarravano allora lo sfondo della strada: in lontananza apparivano edifizi neri misteriosi; muraglie fantastiche sorgevano di qua e di là dal sentiero: le macchie sembravano bestie accovacciate, e dai rami degli elci si protendevano braccia nere, teste di serpenti. Tutto un mondo di sogno, ove le cose incolori e informi destavano paura per la loro immobilità e la loro incertezza, si stendeva sotto il bosco.
Annesa camminava, e le pareva di esser passata altre volte attraverso quelle tenebre, in mezzo a quei fantasmi immobili, e di conoscerli, e di non aver più timore dei pericoli ignoti che la precedevano e la seguivano: eppure di tanto in tanto bastava il fruscio dei suoi passi sulle foglie secche per farla trasalire.
A metà strada, sull’alto di una china, apparve una figura strana, che si muoveva davvero: sembrava una figurina umana, ma con una enorme testa di Medusa, nera nel chiarore lunare. Annesa si gettò dietro una roccia: e vide passare e sparire, a lunghi passi silenziosi, una ragazzetta scalza con un fascio di legna sul capo. Era una bimba che viveva vendendo legna rubate: i suoi piedini coperti da una crosta di fango sembravano calzati di leggeri sandali adatti alla fuga. Annesa riprese la strada. E su, e su. Un’altra figura apparve, nera sulle bianche lontananze di un pianoro: un centauro che fischiava, e galoppava verso le vaporosità dell’orizzonte... Poi più nulla: il mare apparve, come una nuvola d’argento azzurrognolo,