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210 | l’edera |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'edera (romanzo).djvu{{padleft:212|3|0]]e la valida compagnia di zio Castigu, egli era caduto egualmente.
Annesa lo trovò seduto sulla muriccia, sotto il portico, con la sottana sollevata fin sulle ginocchia e la mano fasciata dal solito fazzoletto rosso e turchino. Egli pregava quasi a voce alta e guardava in lontananza, verso l’orizzonte al di là della radura, dove la luna calava pallida e melanconica.
Quando Annesa apparve, egli la fissò coi suoi piccoli occhi grigi, ma parve non vederla perchè continuò a pregare. Anch’ella lo guardò con stupore: egli sembrava un altro; era meno gonfio del solito, col viso pallido, quasi bianco, cascante; e intorno al suo mento, dagli angoli della bocca in giù, si disegnavano due nuove rughe, profonde. Sembrava un uomo disgustato e addolorato, ma d’un disgusto e di un dolore ingenui, da bambino infelice.
— Va bene, — disse ad un tratto, raccogliendo entro il pugno il suo piccolo rosario nero, — eccoci qui! Avanti, siediti qui.
Annesa prese posto accanto a lui, sulla muriccia addossata al muro della chiesetta: e da quel momento non si guardarono più, entrambi con gli occhi fissi al di fuori del portico, verso quella lontananza triste ove la luna moriva e il cielo pareva coperto di veli che uno dopo l’altro cadevano lentamente dietro le ultime montagne dell’orizzonte.
Annesa disse:
— Mi dispiace che lei sia venuta quassù. Si è fatta anche male? Ah, se avessi saputo! Ma fino