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216 | l’edera |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'edera (romanzo).djvu{{padleft:218|3|0]]ed anni intorno all’albero del frutto proibito, e ho indotto l’uomo debole a peccare con me. E quando mi sono stancata del peccato della carne, ho rivolto i miei desideri ad altre cose: ho detto a me stessa: voglio avvincere a me l’uomo con altri lacci...»
— Non capisco, non capisco niente... — ella mormorò. — Me lo dica con altre parole.
— Insomma, ecco, tu devi dire così: «Ho ucciso il vecchio in modo da far credere, se il delitto si scopriva, che Paulu era il colpevole ed io sua complice. Di questo delitto volevo farmene un’arma e un laccio contro Paulu, per tenerlo sempre avvinto a me».
— Io devo dire così? E sarò creduta?
— Certo, perchè è la verità.
Ella balzò in piedi, rigida, livida, con le mani contratte: i suoi occhi si spalancarono, si fissarono sul prete con uno sguardo vitreo e feroce.
— Prete Virdis, — balbettò, — è Paulu che le ha detto questo?... È lui, è lui?... Voglio saperlo subito: mi dica subito che non è vero... Se no... io...
Il prete non si mosse, e neppure la guardò. Ma con voce alta, che pareva ironica ed era triste, ben diversa dalla voce tenue e pietosa con la quale aveva fino a quel momento parlato, domandò lentamente:
— Se no? Mi farai quello che hai fatto a Zua Decherchi?
Allora ella credette di capire una cosa spaventevole: che il prete avesse paura di lei, come di una bestia, come di un cane idrofobo, e che cer-