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l’edera 223

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'edera (romanzo).djvu{{padleft:225|3|0]]in tanto si curvava e baciava il pavimento con passione e furore. Davanti a sè, ella non vedeva niente; non ascoltava la messa, non sapeva quello che ripeteva fra sè incoscientemente: non erano la fede e il timor di Dio che la piegavano sino a terra e le facevano baciar la polvere con un sentimento di amore, più che di umiliazione; tuttavia la sua anima piangeva e clamava, e la sua persona pareva contorta da una specie di furore religioso.

Zio Castigu scampanellava. L’unico cero, sull’altare melanconico, guardava col suo occhio d’oro, immobile: ad un tratto però la fiammella si allungò, si mosse, diventò una piccola lingua giallognola e parve dire qualche cosa al bambino sonnolento che la guardava fisso.



Annesa rimase tutto il giorno nella chiesetta. Continuava a mormorar preghiere, ma pensava ad altre cose.

— Mi condanneranno a trent’anni di reclusione, — pensava. — Forse morrò prima di finirli. Forse mi condanneranno a vent’anni. Quando ritornerò sarò vecchia: che farò? Vivrò d’elemosine... Forse nella reclusione potrò lavorare, potrò accumulare qualche piccola somma. Matteu Piras, che rimase quindici anni nella reclusione di Civita-

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