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l’edera | 247 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|L'edera (romanzo).djvu{{padleft:249|3|0]]prietario benestante di Nuoro, che ha la moglie vecchia e non ha figli. C’è però da lavorare: fare molto pane d’orzo per i servi, e lavorare anche in campagna. Però questi padroni sono persone caritatevoli, e tratterebbero molto bene la serva da voi raccomandata. Se questa vuole, può venire anche da domani. Noi siamo sani, ecc. Vostra nipote
«Maria Antonia».
Annesa lesse e rilesse la letterina, ma stentò a capirla: il suo pensiero era là, nella cameretta dove prete Virdis e Paulu parlavano certo di lei. Che cosa dicevano? Che voleva Paulu? Ella avrebbe dato dieci anni del resto della sua miserabile vita per poter ascoltare il colloquio fra i due uomini. E ripeteva a sè stessa l’ultima parola di prete Virdis: coraggio! Sì, coraggio, Annesa, coraggio, coraggio! Coraggio, per lottare, per vincere, per non ricadere nell’abisso molle e tenebroso del peccato.
In cucina non si sentiva più alcun rumore: senza dubbio zia Paula, curiosa, stava ad origliare su, all’uscio della cameretta del balcone. Purchè i due uomini non accennassero all’orribile segreto! No, non era possibile: Paulu non sapeva, non dubitava, non poteva credere... E prete Virdis aveva detto: «prima ch’io parli di ciò le mie labbra si disseccheranno».
No, essi discutevano forse sulla scomparsa di lei: Paulu forse diceva:
— So che ella è qui: voglio rivederla, voglio costringerla a tornare a casa.